L-Carnosina
L-CARNOSINA
Efficace antiossidante non solo per il recupero muscolare
1 Introduzione
La L-carnosina è un dipepdtide N-b-alanil-L-istidina, che è ampiamente presente negli organismi vertebrati e particolarmente abbondante nel cristallino, nel cervello (specialmente nelle vie olfattive primarie) e nella muscolatura scheletrica, ma non nel muscolo cardiaco dell'uomo. I tessuti dei mammiferi contengono carnosina ed anserina (N-metil-carnosina), mentre i tessuti umani contengono solo carnosina (1). La naturale presenza di L-carnosina si aggira attorno a concentrazioni di circa 20 mM nella muscolatura scheletrica e 5 mM nel cervello. Livelli così elevati in questi singoli tessuti sembrano essere dovuti sia alla resistenza della carnosina alla scissione proteolitica che alla locale scarsa attività di specifici enzimi (carnosinasi) (51).
Benchè alla carnosina non sia stato ufficialmente attribuito alcun ruolo metabolico ben definito, la recente ricerca scientifica ha fino ad ora identificato la sua implicazione in numerosi processi fisiologici. Gli studi che hanno avuto come oggetto la carnosina, hanno infatti individuato una sorprendente molteplicità di proprietà che, spaziando dall’azione antiossidante, antinvecchiamento, ed antiglicosilazione delle proteine fino a quella di promoter del recupero muscolare, la rendono un nutriente particolarmente interessante ed estremamente versatile (25).
Tra le funzioni meglio documentate della L-carnosina, ricordiamo quella di antiossidante ad "ampio-spettro", (laddove sia stata dimostrata la sua interazione con molti tipi di radicali liberi, incluso il radicale ossigeno, il perossido di idrogeno ed i radicali perossidici e idrossidici) e quella di neutralizzante dei protoni superflui, ioni metallici con più valenze e composti di radicali liberi (azione tamponante generale) (22, 23).
Figura 1 – La molecola della L-carnosina (N-b-Alanyl-L-histidine), PM=226,24, formula bruta (C9H14N4O3), N CAS 305-84-0.
2 Biocinetica
La carnosina viene sintetizzata nel fegato a partire dai suoi costituenti primari (alanina ed istidina) ed è in seguito trasportata attraverso il sangue nei muscoli dove viene assorbita.
Se prendiamo come riferimento una dieta costituita da almeno una portata di manzo, maiale o pollo al giorno, l’assunzione media della carnosina attraverso i cibi può aggirarsi mediamente attorno ai 50-250 mg/die. Una volta assunta attraverso l'alimentazione, la carnosina, in virtù della sua natura dipeptidica, viene assorbita inalterata nell'intestino. Circola nel sangue grazie ad uno specifico mezzo di diffusione fino a raggiungere il rene, il fegato, il cervello e la muscolatura (51).
La carnosina viene assorbita abbastanza efficacemente (fino al 15% della dose ingerita), circola attraverso il sangue ed è prontamente utilizzabile dai tessuti periferici, metabolizzata nei suoi amminoacidi costituenti (alanina e istidina) o filtrata nell'urina attraverso i reni. La carnosina può venir quindi utilizzata a livello di questi tessuti, o subire un processo di idrolisi ed essere scissa in alanina e istidina ad opera degli enzimi carnosinasici (che si trovano soprattutto nel sangue, nel fegato e nel rene) (51, 52, 53).
3 Proprietà
Come è già stato accennato, la moderna ricerca scientifica ha individuato molteplici proprietà attribuibili alla carnosina. Tra le principali, ricordiamo quanto segue:
Þ capacità antiossidante (spiccata attività di contrasto nei confronti dei radicali liberi) (4, 6, 7, 18, 21, 22, 35, 36, 37, 39, 42, 50, 61)
Þ globali proprietà anti-invecchiamento (26, 25, 22, 21, 23, 20, 24)
Þ attività anti-glicosilazione delle proteine (contrasta la formazione degli AGEs: “advanced glycosilation end products”) (8, 9, 18, 21, 22, 34, 57, 58)
Þ capacità fisiologica di ristabilire un ph neutro (può favorire il recupero muscolare riducendo l’accumulo di acido lattico) (3, 5, 7, 8, 10, 18, 40, 55)
Þ chelazione di cationi metallici con più valenze (soprattutto divalenti) (18, 25, 40, )
Þ proprietà neuroprotettive (6, 37, 38, 40, 41)
Þ capacità immunomodulatrice (42, 43, 44)
Þ proprietà antitumorali (25, 27)
Þ contrasto dei disturbi infiammatori delle articolazioni (22, 50)
Þ prevenzione nei confronti delle malattie a carico dell’apparato cardiovascolare e delle patologie neurovegetative (35, 36, 42, 58)
Þ sostegno delle funzioni dell'occhio e della vista (25, 54)
Þ capacità cicatrizzante (28, 29, 30, 31, 32)
Þ capacità protettiva contro le radiazioni UVB (33)
Þ proprietà antinfiammatorie (22, 50)
3.1 Azione antiossidante:
Il termine antiossidante si riferisce alla capacità di numerose vitamine, minerali ed altri prodotti fitochimici di fungere da protezione nei confronti degli effetti dannosi di quelle molecole altamente reattive conosciute col nome di radicali liberi. I radicali liberi hanno la capacità di reagire con molte strutture del corpo danneggiandole.
Particolarmente suscettibili a subire danni ossidativi sono le membrane cellulari e la più profonda fonte del nostro patrimonio genetico, il DNA.
Le reazioni dei radicali liberi ed i danni dovuti all'ossidazione sono stati inoltre correlati a molte patologie senili quali, ad esempio, le malattie neurodegenerative, i disturbi cardiaci, il diabete od il cancro.
I più noti agenti antiossidanti biologici esercitanti azione preventiva nei confronti dell'ossidazione dei lipidi, delle proteine e di altre macromolecole essenziali presentano solo alcune caratteristiche nei loro meccanismi d'azione, fornendo un solo tipo di protezione fra quelle di seguito riportati:
- blocco della formazione di radicali liberi
- rimozione degli agenti ossidanti
- reazione con le specie reattive, evitandone l'evoluzione naturale
- trasformazione di un ROS (specie reattiva dell’ossigeno) in un anti-ROS (non più pericoloso)
- stabilizzazione delle membrane
- azione indiretta nei confronti della rimozione di sostanze che possano catalizzare i danni da radicali liberi (es. ioni metallici)
- fissazione del ferro.
In prima analisi, la L-carnosina, avendo dimostrato la sua interazione con molti tipi di radicali liberi, inclusi il radicale ossigeno, il perossido di idrogeno nonché i radicali perossidici ed idrossidici, può essere definita un antiossidante ad "ampio-spettro d’azione". Secondariamente, in quanto antiossidante estremamente solubile in acqua, la L-carnosina è in grado di inibire l'ossidazione delle membrane cellulari dovuta all'azione del ferro, dello zinco, del rame, del perossido di idrogeno, del radicale ossigeno e dei radicali liberi perossidici e idrossidici (1, 4, 25, 40, 50, 61).
Dal punto di vista chimico, la molecola della L-carnosina deve la sua attività antiossidante alla presenza del legame peptidico che esercita un’azione stabilizzante nei confronti del radicale imidazolico. L'effetto antiossidante della L-carnosina si è infatti dimostrata molto maggiore rispetto all'attività singola o combinata degli amminoacidi che la costituiscono - il che indicherebbe che il legame peptidico tra alanina e istidina è coinvolto in modo speciale nell'attività antiossidante completa della L-carnosina. E’ stato inoltre notato che anche la trasformazione metabolica in imidazolo, istidina ed anserina, a cui va naturalmente incontro la carnosina, possa giocare un importante ruolo nella regolazione dello status antiossidante nativo del nostro organismo (39).
Il graduale accumulo dei microscopici danni causati dall’attività dei radicali liberi alle membrane cellulari, al DNA, alla struttura dei tessuti ed al sistema enzimatico, conduce ad un progressivo indebolimento globale dell'organismo ed ad una conseguente maggiore predisposizione alle malattie.
L’azione protettiva esercitata dalle molecole antiossidanti quali la L-carnosina può dunque risultare di particolare utilità in tutte quelle situazioni fisiologiche nelle quali l’organismo è sottoposto ad un elevato stress ossidativo.
Nel caso particolare di atleti o di sportivi, il danno recato dall'ossidazione può essere particolarmente significativo in seguito all’incremento della produzione di radicali liberi che si verifica durante l'intensa attività fisica. Sebbene in tali condizioni il fisico aumenti la produzione di enzimi antiossidanti endogeni (glutatione, anti-perossidasi, catalasi, superossi-dismutasi), un apporto esterno di antiossidanti attraverso l'alimentazione può comunque prevenire l’eccessiva ossidazione a carico dei muscoli e degli altri tessuti. Teoricamente, il venir meno dei danni ossidativi in fase di allenamento, può tradursi in un parallelo incremento delle capacità di ripresa ed in un conseguente aumento della prestazione atletica.
3.2 Azione anti-glicosilazione
La L-carnosina inibisce la formazione delle sostanze indicate con il nome di AGEs, advanced glycosylation end products (prodotti finali di avanzata glicosilazione).
La glicosilazione non enzimatica, (chiamata “reazione di Maillard” nella chimica alimentare), è la reazione di gruppi amminici con aldeidi, zuccheri o gruppi chetonici con la produzione di entità chimiche reattive. Tutto ciò determina la creazione di legami crociati con eventuale formazione di prodotti finali di glicosilazione avanzata.
Benché il processo di glicosilazione "in vivo" sia lento, esso assume un peso rilevante durante l’invecchiamento ed in presenza di quelle condizioni patologiche nelle quali i livelli ematici di zucchero sono elevati (es. diabete). In questi casi, possono originarsi anomalie a carico dei vari tessuti, in particolare modo di quello connettivo (in seguito al coinvolgimento dei legami crociati di collagene).
L'analisi della glicosilazione dei siti principali delle proteine ha mostrato come i gruppi amminici epsilon della lisina siano il bersaglio primario, specialmente in prossimità dei residui di istidina. La prevalenza di questa sequenza ricorda molto da vicino quella della carnosina. In vitro, la carnosina può reagire prontamente con gli zuccheri, come glucosio, lattosio e didrossiacetone (DHA) dando luogo alla produzione di soluzioni scure, caratteristiche della glicosilazione, come descritto da Maillard. Tra questi zuccheri, il DHA è risultato il più reattivo. La carnosina reagisce con il DHA più velocemente di quanto accada per la lisina. Questo sta ad indicare che i dipeptidi possono competere, nella glicosilazione, con altre fonti di ammino gruppi. E’ stato inoltre osservato che minori cambiamenti strutturali della carnosina (come ad esempio l'aggiunta di un gruppo metilene) sono in grado di ridurre la sua reattività in tale ambito. La L-carnosina è in grado di inibire fortemente la glicazione del dipeptide Ac-Lys-His-NH2 ad opera del DHA. Dal momento che quest'ultima sequenza assomiglia al sito preferito della glicazione nelle proteine, ciò indicherebbe che la L-carnosina può essere in grado di bloccare la glicazione delle proteine. Ulteriori analisi hanno mostrato che la L-carnosina può contrastare la formazione del legame crociato della siero albumina bovina risultante dalla glicazione della proteina ad opera del DHA. Tutti i risultati in vitro sono stati osservati con livelli relativamente alti di carnosina (60 - 250 mM), dello stesso ordine delle concentrazioni di zuccheri (0.2 - 2 M) o ammino- gruppi proteici presenti nella miscela di relazioni. Ciò sarebbe conforme al meccanismo d'azione supposto per la L-carnosina secondo il quale tale sostanza si comporterebbe come un accettore competitivo nella reazione di glicazione. In tal modo, la concentrazione di carnosina richiesta per inibire il danno proteico in vivo dipenderebbe dal livello di zuccheri reattivi presenti. Alcuni aminoacidi glicati, come ad esempio la lisina e l'arginina, hanno rivelato potere mutageno mediante test di Ames. Altri amminoacidi glicati, come la prolina e la cisteina, non hanno invece mostrato la stessa proprietà (56).
La formazione di prodotti AGE è particolarmente significativa in quei casi nei quali i livelli di glucosio nel sangue sono periodicamente elevati (ad esempio nella patologia del diabete). E’ noto infatti come i livelli di AGE siano fortemente coinvolti nello sviluppo di cambiamenti degenerativi, comprese la formazione di cataratta (54) e dell’arteriosclerosi (35). Per disporre di dati certi a tal proposito è necessario comunque approfondire le ricerche ed estendere i periodi di trattamento.
Alcune ricerche paragonano l’azione di inibizione esercitata dalla L-carnosina nei confronti della glicosilazione a quella dell’aminoguanidina, l'unico inibitore di glicazione ben documentato. Tuttavia, la L-carnosina sembrerebbe intervenire ad un gradino precedente nel processo di glicazione rispetto alla aminoguandina, deviando dunque più precocemente tale reazione verso la formazione di prodotti non dannosi e rapidamente eliminabili. Inoltre, a differenza della aminoguanidina, la carnosina è un prodotto naturale ed ha una tossicità estremamente bassa (57, 58).
Nonostante la L-carnosina si sia dimostrata pienamente efficace già con una somministrazione di tipo orale, sono comunque necessarie nuove e più estese prove sugli animali al fine di poter dimostrare l'efficacia della L-carnosina soprattutto nei casi di evoluzione degenerative associate al diabete.
3.3 Contro l’invecchiamento e le patologie tipiche dell’età senile
E’ ormai noto come la modifica spontanea della proteina ad opera degli aldosi sia una delle principali cause della degenerazione legata all'età della proteina e del legame crociato, e che essa rivesta un ruolo importante in alcune patologie dell'età senile, quali ad esempio:
- problemi infiammatori a livello articolare
- arteriosclerosi
- diabete
- morbo di Alzheimer
La carnosina, prevenendo l’accumulo di forme di proteine ossidate, alterate od aventi legami crociati (evidenti segnali molecolari dell'avanzamento dell’età) può contribuire efficacemente a ritardare i processi di invecchiamento e diminuire l'ossidazione del DNA.
Interessanti studi hanno recentemente confermato gli effetti benefici della L-carnosina sulla crescita, sulla morfologia e sulla longevità di colture di fibroblasti umani. In tali sperimentazioni, è stato evidenziato come un trattamento con 50 mM di carnosina possa permettere il mantenimento di un fenotipo giovanile in questo tipo di cellule. La rimozione della L-carnosina dal brodo colturale, ha provocato l’immediata ripresa del processo di invecchiamento. Gli stessi risultati non sono stati osservati con l’utilizzo dell’isomero D-carnosina (20, 23, 24).
A. Hipkiss e i suoi collaboratori (Istituto di gerontologia di Londra) hanno evidenziato che la relazione tra carnosina, aldeidi tossiche, vecchiaia e patologie ad essa correlate può essere un interessante soggetto di studio, assieme alla potenziale azione terapeutica della L-carnosina e delle strutture ad essa affini nei confronti di patologie risultanti da modificazioni macromolecolari mediate da aldeidi (21).
La L-carnosina, dunque, oltre alle attivItà antiossidanti e contrastanti la formazione di radicali liberi, reagisce anche con aldeidi nocive, esercitando una funzione protettiva sulle macromolecole suscettibili. Da alcune sperimentazioni condotte in vitro è emerso infatti come la carnosina inibisca la glicosilazione non-enzimatica ed i legami incrociati di proteine indotti da aldeidi reattive. Anche in questa ricerca è stata quindi confermata la capacità inibitoria della carnosina nei confronti della formazione dei prodotti finali della glicosilazione avanzata (AGEs) rivolta alle proteine ed indotta da MDA (malondialdeide, un prodotto della perossidazione dei lipidi) e della formazione di legami crociati nella proteina del DNA ad opera di acetaldeide e formaldeide. La somministrazione di 20 mM di L-carnosina ha protetto le colture di fibroblasti e linfociti umani (CHO) e quelle di cellule endoteliali del cervello di ratti dagli effetti tossici di formaldeide, acetaldeide ed MDA oltre che da AGEs formatisi all’interno di una mistura di lisina e desossiribosio. La L-carnosina ha inoltre efficacemente protetto le coltivazioni di cellule endoteliali dei ratti dalla tossicità del peptide amiloide. Per questi motivi, la L-carnosina (che non è tossica) potrebbe in futuro essere sperimentata come coadiuvante per i trattamenti di quelle patologie che coinvolgono aldeidi nocive, quali, ad esempio, il diabete (e le sue complicazioni secondarie), i fenomeni infiammatori, i danni epatici da alcool e probabilmente il morbo di Alzheimer (22, 58).
La potenziale capacità anti-glicante della carnosina suggerisce che questo dipeptide può essere preso in considerazione nel trattamento dei diabetici, laddove la glicazione rappresenti il primo passo verso effetti patologici secondari rilevanti. L'omocarnosina mostra una reattività più bassa della carnosina ed indica che alcuni cambiamenti strutturali minori influenzano i relativi livelli di glicazione. Ciò permetterebbe la progettazione di sostanze analoghe alla carnosina che abbiano differenti gradi di reattività durante le diverse fasi del processo di glicazione e, insieme alla carnosina, possano essere usati come strumenti per ulteriore indagini. La glicazione in vitro di altre molecole quali i tripeptidi è stata infatti descritta, ma la loro suscettibilità verso le peptidasi in vivo ne restringe il potenziale utilizzo. La L-carnosina invece, in virtù della sua natura di b-peptide, non è facilmente attaccabile da peptidasi non specifiche (51).
E’ stato dimostrato inoltre che la carnosina protegge le proteine dalle modificazioni mediate da metilglioxal, vale a dire da un metabolita endogeno presente in concentrazioni elevate nei diabetici ed implicato nella formazione dei prodotti finali della glicosilazione avanzata e nelle complicazioni diabetiche (34).
L’azione di contrasto esercitata dalla L-carnosina nei confronti dell’arteriosclerosi è stata evidenziata in alcuni studi condotti su animali (35). E’ noto inoltre come il potere antiossidante associato alla carnosina possa contribuire alla prevenzione della perossidazione lipidica, fenomeno che gioca un ruolo rilevante nell’insorgenza della patologia dell’arteriosclerosi (36).
Dal momento poi che la L-carnosina viene prontamente assorbita e raggiunge il plasma intatta, la sua attività antiossidante può ben esplicarsi anche sul fronte dell’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e quindi contribuire anche sotto questo aspetto alla prevenzione dell’arteriosclerosi (42). L’introduzione con la dieta di molecole antiossidanti quali la L-carnosina, può dunque influenzare favorevolmente la capacità antiossidante del siero e proteggere contro la perossidazione dei lipidi e tutte le problematiche ad essa correlate.
Le proprietà antiglicanti ed antiossidanti della carnosina contribuiscono anche all’esplicazione della sua azione di contrasto esercitata nei confronti del morbo di Alzheimer. In tale frangente, il meccanismo protettivo della carnosina si esplica a livello delle cellule neuronali ed epiteliali contro l’attività del peptide B-amiloide. Questa sostanza è implicata nelle disfunzioni vascolari del cervello ed è considerata una neurotossina primaria nel morbo di Alzheimer. Essa inibisce infatti la moltiplicazione delle cellule endoteliali ed è direttamente tossica per l'endotelio vascolare periferico e cerebrale. Nel cervello ciò può dare origine ad un indebolimento della barriera emato-encefalica. E’ stato supposto che una prolungata diminuzione di questo tipo possa acutizzare (o anche generare) il morbo di Alzheimer attraverso disturbi cronici nella omeostasi extracellulare fluida del cervello - che è una delle principali funzioni della barriera emato encefalica - nonchè attraverso un aumento della presenza della proteina precursore dell’amiloide (13, 21, 58).
3.4 Azione neuroprotettrice
La specifica concentrazione del peptide endogeno L-carnosina a livello cerebrale, oltre che muscolare, ha aperto la strada alla formulazione di diverse ipotesi sulla sua funzione biologica in tale comparto.
A tal proposito, è stato osservato che la carnosina risulta spesso associata a quei neuroni che, pur essendo totalmente dipendenti dal glucosio, sono più longevi. Tutto ciò potrebbe essere una conseguenza della già nota azione anti-invecchiamento ed anti-glicosilazione della carnosina. Qualora accadesse, infatti, che la carnosina in vivo subisse una glicosilazione, il prodotto risultante, proprio perché di carattere non-mutageno, non solo non andrebbe ad ostacolare le funzioni omeostatiche volte alla preservazione dell'integrità delle proteine, ma diminuirebbe altresì la produzione di agenti mutageni endogeni. L’azione antiossidante, studiata con modelli in vitro ed in vivo si è rivelata protettiva nei confronti del danneggiamento provocato ai neuroni dai radicali liberi, soprattutto di tipo idrossilico. Il meccanismo coinvolto comprenderebbe l’attivazione della Na, K-ATP-asi e la riduzione dell’attività della tirosina-idrolasi (enzima normalmente attivato dalla presenza di radicali liberi) (37).
Non è da dimenticare inoltre che la L-carnosina è un dipeptide solubile in acqua in grado però di catturare i prodotti della lipoperossidazione. Durante il processo di ischemia cerebrale, ad esempio, la carnosina agisce da neuroprotettore contribuendo al miglioramento dell'afflusso del sangue al cervello, alla normalizzazione dell'elettroencefalogramma, alla diminuzione dell'accumulo di lattato ed alla protezione nei confronti delle ROS (specie ossigeno reattive). La L-carnosina può essere dunque considerata uno specifico regolatore delle principali vie metaboliche con le quali i neuroni sostengono l’omeostasi cerebrale in condizioni favorevoli (38).
La L-carnosina possiede inoltre una funzione antiossidante che comprende anche la chelazione dei metalli. In un recente studio, la carnosina è stata proposta come neuromodulatore. I ricercatori si sono serviti della correlazione tra corrente di cella e tensione applicata per esaminare gli effetti diretti e le azioni neuromodulatrici della carnosina sui neuroni del bulbo olfattivo dei ratti in colture primarie. Rame e zinco hanno inibito l' N-metilaspartato e le correnti mediate da recettori GABA ed hanno inibito la trasmissione sinattica. La carnosina ha svolto un ruolo preventivo verso l'azione del rame ed ha ridotto gli effetti dello zinco. Tali risultati dimostrano che la carnosina può influenzare in modo indiretto l'eccitabilità neuronale modulando gli effetti dello zinco e del rame (41).
La L-carnosina, essendo poi in grado di neutralizzare i protoni in eccesso, può ulteriormente contribuire alla difesa delle cellule nervose nei confronti dei deleteri effetti scaturibili anche da questo tipo di influenza ambientale (41).
3.5 Azione sulla muscolatura
Grazie alle sue numerose proprietà, la L-carnosina può rappresentare l'aiuto ergogenico di nuova generazione. Similmente a quanto è stato osservato per il tessuto cerebrale, infatti, la naturale concentrazione della L-carnosina nel muscolo può trovare molteplici spiegazioni funzionali, molte delle quali sono davvero sorprendenti e possono a buon ragione indirizzare l’utilizzo di questa sostanza in ambito sportivo (2, 5, 6, 7, 8, 10, 18, 40, 49, 55).
A livello muscolare, le ormai note proprietà della L-carnosina possono apportare benefici su diversi fronti. In particolare, l’assunzione di tale molecola ha la potenzialità teorica di:
a) aumentare la forza grazie alla sua capacità di stimolare la contrazione muscolare attivando gli enzimi responsabili della produzione di tali contrazioni (ATPasi miofibrillari) (2, 3, 11);
b) aumentare la sensibilità delle proteine contrattili presenti nei tessuti muscolari agli ioni Ca2+ (3, 10, 11);
c) aumentare la resistenza allo sforzo muscolare, combattendo gli effetti dell'acido lattico (azione tamponante) e dei radicali liberi (40);
d) proteggere il corpo dal danno dei radicali liberi scaturiti da un intenso esercizio fisico (azione antiossidante) (4);
e) probabilmente diminuire i tempi di recupero dagli infortuni (5).
La L-carnosina è un dipeptide endogeno che contribuisce al sistema di difesa antiossidante della muscolatura scheletrica. E’ in grado di inibire l'ossidazione dei lipidi già in concentrazioni simili a quelle presenti nella muscolatura scheletrica (5-25 mM). Abbiamo inoltre visto che il meccanismo antiossidante della carnosina è multifunzionale poiché può sia operare una chelazione sui metalli che eliminare i radicali liberi (40, 49).
Il ruolo primario della carnosina a livello muscolare è quello di eliminare gli ioni di idrogeno prodotti durante i periodi di rapida glicolisi. Questi normalmente conducono ad un accumulo di acido lattico che si verifica soprattutto in concomitanza di sforzi fisici brevi ed intensi, quali rapide accelerazioni od esercizi vicini ai massimali. In sostanza, la L-carnosina agisce come un'agente eliminante intramuscolare, ritardando l'accumulazione di acido lattico (5, 40).
E' stato calcolato che dall'insieme dei dipeptidi muscolari (principalmente L-carnosina) può dipendere circa il 10%-40% della globale capacità tamponante del tessuto muscolare. Durante gli allenamenti più intensi, la L-carnosina può dunque giocare un ruolo di fondamentale importanza nella prevenzione della riduzione del pH provocata da accumulo di acido lattico e, quindi, contribuire al globale miglioramento del rendimento fisico (7, 8, 10, 18, 40, 55).
Benché questa teoria non sia stata supportata da sufficienti studi clinici, da ricerche condotte su cavalli da corsa è comunque emerso che le concentrazioni di L-carnosina muscolare sono maggiori nei muscoli con un'alta percentuale di fibre glicolitiche a veloce contrazione e più basse nei muscoli con un numero prevalente di fibre ossidative a basso potere di contrazione. Oltre ai potenziali effetti sul metabolismo anaerobico (acido lattico), la L-carnosina può incrementare il metabolismo ossidativo (aerobico) attraverso l’aumento dell'efficienza dei mitocondri nella produzione di energia cellulare (55).
Tra gli sportivi, i livelli di L-carnosina muscolare sono notoriamente più alti tra coloro che praticano sport con richieste anaerobiche più alte (canoisti e velocisti). Negli atleti che praticano attività a sforzo prolungato (maratoneti) si riscontrano minori concentrazioni muscolari di L-carnosina, le quali sono comunque superiori a quella presente nei soggetti non allenati.
L’assunzione di L-carnosina è associata ad un aumento della prestazione fisica, specialmente se di tipo anaerobico. Essa rappresenta anche un efficace ritardante della sensazione di dolore muscolare che accompagna gli allenamenti più intensi, migliorando la velocità di recupero ed i tempi di guarigione.
Il contenuto di L-carnosina nella muscolatura può essere influenzato dall’apporto introdotto con la dieta sia in termini del dipeptide in se che degli aminoacidi che lo compongono (istidina in particolare) (59). L’utilizzo della L-carnosina come integratore alimentare, oltre a mediare il danneggiamento provocato dai radicali liberi, può anche contribuire favorevolmente all’eliminazione dell’acido lattico nel tessuto muscolare e nel sangue ritardando la comparsa del dolore localizzato.
3.6 Contro gli effetti muscolari dell’alcolismo
L'uso prolungato e cronico dell'alcool è associato ad una riduzione della sintesi proteica nella muscolatura scheletrica.
Le fibre di tipo II della muscolatura scheletrica (ovvero quelle con un metabolismo glicolitico anaerobico) subiscono una riduzione. La forma cronica di miopatia scheletrica dovuta ad alcolismo è caratterizzato da una atrofia selettiva delle fibre di tipo II e colpisce fino ai 2/3 di coloro che abusano nel consumo di alcolici. La sottospecie di fibre di tipo IIb (che hanno pochi mitocondri o non ne hanno affatto) risultano particolarmente danneggiate. La sottospecie di fibre di tipo IIa, e specialmente le fibre di tipo I a lenta contrazione (aerobico-ossidative), sono relativamente più resistenti (60).
Negli alcolisti miopatici, la L-carnosina del plasma risulta ridotta così come quella presente a livello muscolare. I pazienti alcolisti rivelano anche un aumento degli indici di perossidazione lipidica. Inoltre, l’indubbia presenza di un elevato numero di radicali liberi (ovvero elettroni non accoppiati o specie ossigeno-reattive) gioca un ruolo importante nella patogenesi di malattie muscolari indotte dall'alcool.
I meccanismi che riguardano il coinvolgimento del danno da ROS (specie reattive dell’ossigeno) nella eziologia dei disordini dovuti all'abuso di alcool nei tessuti non muscolari sono stati frequentemente studiati. I ROS possono allo stesso modo essere coinvolti nella patogenesi della miopatia e della cardiomiopatia da alcolismo.
In due interessanti studi è stato osservato come, in presenza di L-carnosina, gli eritrociti di alcolisti in crisi d'astinenza abbiano significativamente incrementato la loro capacità di resistere alla emolisi acida. In tali soggetti, la carnosina ha infatti prodotto effetti benefici sullo stato patologico degli eritrociti, normalizzando la morfologia cellulare. In sintesi, la L-carnosina ha rivelato di possedere, nei soggetti alcolisti, una sensibile capacità stabilizzante e rigenerativa nei confronti degli eritrociti (45, 46).
3.7 Per la pelle
La L-carnosina, grazie alle sue naturali proprietà antiossidanti può efficacemente contrastare il naturale processo di invecchiamento del nostro organismo. La pelle, che è notoriamente uno dei primi apparati nei quali è visibile l’azione di degenerazione radicalica, risente dunque positivamente dell’azione della L-carnosina. E’ stato anche dimostrato come la L-carnosina assunta con la dieta od applicata per via topica possa preservare le difese immunitarie cutanee in presenza di esposizione a raggi ultravioletti (UVB) o di agenti chimici quali l’acido urocanico (33).
E’ inoltre noto che la formazione di legami crociati tra fibre di collagene adiacenti è uno dei processi che provocano la caratteristica comparsa di rughe e la conseguente perdita di elasticità. Tale fenomeno avviene naturalmente con l’avanzare dell’età e può essere accelerato dall’esposizione ai raggi solari. Date le proprietà antiossidanti ed anti-glicosilanti della L-carnosina, è presumibile che essa possa contribuire positivamente alla prevenzione della formazione di legami incrociati nel collagene e nelle altre proteine cutanee.
La carnosina può inoltre aiutare la rimarginazione delle lacerazioni, come mostrato da numerosi studi condotti in vivo ed in vitro (29, 30, 31, 32).
3.8 Azione immunostimolante
L’azione immunomodulatrice attribuita alla carnosina necessita ancora di alcuni chiarimenti riguardo al preciso meccanismo d’azione. Dalle ricerche fino ad ora condotte, sembra che sia coinvolta l’attivazione delle cellule T e B (42) oltre ad una stimolazione stereo specifica dei macrofagi peritoneali (43).
In un recente studio, la carnosina e l'anserina hanno dimostrato di riuscire a modulare la funzione cellulare dei neutrofili e la funzione delle cellule U937, specialmente nei riguardi dell'atto respiratorio, della produzione di interleukin-1-beta e dell'apoptosi. Entrambi i peptidi, infatti, hanno provocato un aumentato della capacità respiratoria e della produzione di interleukin-1-beta dei neutrofili umani, ma non delle cellule U937. I risultati ottenuti suggeriscono che la carnosina e l'anserina sono in grado di modulare la risposta immunitaria perlomeno a livello dei neutrofili umani (42).
4 La L-carnosina nella chimica alimentare
La L-carnosina potrebbe trovare interessanti applicazioni nella chimica alimentare in virtù delle sue proprietà antiossidanti e contrastanti in particolar modo l'ossidazione dei lipidi presenti nei cibi. Grazie alla sua struttura molecolare, la L-carnosina possiede inoltre interessanti proprietà emulsionanti.
Come è noto, le aldeidi sono derivati secondari della perossidazione dei lipidi e possono essere causa di diverse alterazioni (anche di carattere organolettico) dei componenti alimentari.
I risultati ottenuti in un recente studio suggeriscono che la carnosina e l'anserina nei cibi a base di carne possono portare a sostanziali riduzioni dei prodotti aldeidici generati dalla perossidazione lipidica e pertanto possono influenzare positivamente l’alterazione dei gusti in tali cibi. Dal momento che i singoli aminoacidi costituenti la molecola della L-carnosiona non si sono rivelati efficaci, è presumibile che la presenza di legami peptidici giochi un ruolo chiave nella capacità di eliminazione delle aldeidi nei modelli alimentari complessi (47).
La presenza di carnosina ed anserina può essere inoltre utilizzata come parametro identificativo della tipologia di carne presente nei cibi. Nella carne di pollo, ad esempio, il rapporto anserina/carnosina è il più alto (2,2-5,5), seguito da quello presente nella carne di bovino (0,06-0,02) e di maiale (0,02-0,1). In fine, la presenza di questi peptidi è maggiore nei muscoli ricchi di fibre bianche (48, 49).
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